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Taranto, una volta c’era la naja a Maricentro
Redazione IAMTaranto - 24 Luglio 2021
Lo storico Centro di Reclutamento ed Addestramento Marina Militare intitolato al “Capitano di Vascello Ignazio Castrogiovanni” è un’istituzione per Taranto. Quante generazioni di tutta Italia, quanti giovani col viso rigato dalle lacrime hanno attraversato il cancello di via Cagni con i leoni in bellavista quasi a sovrintendere il passaggio dei “futuri marinai”. I mezzi di comunicazione non erano evoluti, non c’erano i cellulari, internet, si viaggiava in treno e si telefonava solo dalle cabine telefoniche durante la franchigia (libera uscita).
Il 28 giugno 1929 fu posta la prima pietra e fu completato nel 1932 iniziando a svolgere l’attività di Deposito. Dal 1978 è diventato Centro di Reclutamento ed Addestramento del personale di leva della Marina Militare con la denominazione telegrafica di Maricentro e, dal 2005, a seguito della sospensione del servizio di leva, chiusi i cancelli alle reclute, diventa sede della selezione dei volontari in ferma prefissata (VFP1).
Il Centro è sorto e si è sviluppato secondo le necessità del momento, non erano noti gli obiettivi finali che si sono delineati con il progredire della Forza Armata e, pur subendo nel tempo una profonda trasformazione, conserva un suo fascino fatto di lunghi viali alberati, decine di palazzine e bunker.
Il comprensorio di circa 14 ettari situato in via Cagni, già visibile arrivando dal Ponte Punta Penna, è ubicato a sud del Mar Piccolo e confinante con la zona arsenalizia sui lati nord-ovest. L’ingresso principale che si affaccia su Piazza Ammiraglio Cerri è situato tra il corpo di guardia e l’ex parlatorio e l’intera area immersa nel verde si presenta come un vero e proprio quartiere.
Dopo l’arrivo della famigerata “cartolina precetto” inviata dal distretto militare si partiva per la visita di leva per il servizio militare. Per un giovanotto era importante fare il servizio militare: dovevi essere “abile per il re e la regina”, dove regina stava per tutte le donne, un detto che si è tramandato nel tempo e si usa ancora oggi.
Il C.A.R. (centro addestramento reclute) era sicuramente il periodo più difficile da superare, i ragazzi dovevano adattarsi e convivere con tante diverse personalità provenienti da ogni parte d’Italia. Venivano consegnati gli indumenti, assegnata la branda e poi subito a marciare per tante ore al giorno in preparazione al giuramento.
Per capire meglio cosa succedeva nelle camerate abbiamo avvicinato dei passanti. «Ho fatto il C.A.R. qui negli anni 80 – Cosimo racconta – poi sono stato destinato a bordo di una corvetta e ricordo perfettamente i giorni difficili trascorsi in questa caserma. I più anziani si prendevano gioco di noi “nuovi arrivati” ci obbligavano a sistemarli la branda e ci sottoponevano a scherzi pesanti dal gavettone notturno a chiuderci negli armadi per cantare come un jukebox».
Percorrendo l’intero viale principale e girando a destra giungiamo in Piazza d’Armi, dove dopo il C.A.R. si giurava fedeltà alla Repubblica Italiana alla presenza del Comandante e delle Autorità militari e civili. Il giorno prefissato giungevano le famiglie in caserma e si posizionavano in attesa del passaggio dei propri figli che arrivavano marciando, si schieravano di fronte al palco delle autorità, dopo la lettura della formula di rito rispondevano all’unisono “lo giuro” e a fine cerimonia lanciavano in aria il cappello detto “pizza”.
«I tempi sono cambiati – ci dice Nicola, un altro anziano, emozionato al pensiero di fare un tuffo nel passato – chi era di comandata alle cucine era costretto a lavare centinaia di piatti e pentoloni enormi, altri dovevano pulire i servizi igienici e magari litigare con i più “anziani”, subendo il cosiddetto “nonnismo” – mi ricordo, e aggiunge – che la notte mentre le reclute dormivano li bruciavano i piedi mettendoli fra le dite delle carte arrotolate tipo miccia. Altri “nonni” formavano delle vere e proprie commissioni punitive con una recluta che portata con una cintura al collo aveva il compito di fare il cane ed annusare i piedi di coloro che non si lavavano e nel sonno glieli sporcavano con la cromatina per le scarpe per costringerli a lavarsi».
Soltanto dopo aver assolto gli obblighi di leva si potevano prendere le decisioni importanti: si partiva ragazzi e si tornava uomini, così si diceva. Molti invece facevano di tutto per essere riformati, lo consideravano un anno perso perché “erano costretti” a rimetterci un anno della propria vita.
Oggi una parte del comprensorio Castrogiovanni è stata consegnata all’Arma dei Carabinieri per l’istituzione di una Scuola Allievi Carabinieri, un’altra porta d’ingresso per i giovani che decidono di provare a intraprendere la carriera militare, alcuni per scelta molti altri in cerca di occupazione.
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