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L’Acquedotto del Triglio, opera di ingegneria tra passato e presente

Roberta Frascella - 7 Giugno 2022

Facendo la strada che va da Taranto a Statte, avremo sicuramente notato le mura che si estendono al lato, proprio accanto allo stabilimento siderurgico ex Ilva. E magari ci siamo anche chiesti cosa fossero, a cosa servissero e chi le avesse erette. Ebbene, stiamo parlando dell’Acquedotto del Triglio, che ora andremo a scoprire, grazie soprattutto alle notizie riportate alla luce dal prof. Angelo Conte.

L’ACQUEDOTTO DEL TRIGLIO E LE SUE STRUTTURE

L’Acquedotto del Triglio si compone di una serie di gallerie artificiali sotterranee e da alcune arcate in superficie realizzate in tufo, così come alcuni pozzetti posti a distanze varie tra i 30 e i 70 metri tra loro. Le gallerie del sottosuolo si estendono per oltre 18 chilometri e riversavano l’acqua proveniente da sei gravine all’interno di una cisterna rocciosa a circa 10 metri di profondità.

In seguito, l’acqua passava per la condotta principale, al di sotto della collina Montetermiti e il paese di Statte, fino alla zona della Fontana Vecchia, per poi proseguire e arrivare alle arcate che vediamo proprio all’ingresso del quartiere Tamburi. Da lì, veniva alimentata la fontana della Piazza Grande, che oggi conosciamo proprio come Piazza Fontana.

All’epoca, un ulteriore tratto di acquedotto profondo circa un metro scorreva sotto la masseria La Riccia, passava per la palude di San Brunone e arrivava al Mar Grande, ma non durò molto, vista l’azione dell’uomo e degli agenti atmosferici. È proprio in questo punto che terminava l’acquedotto romano, forse nella fontana monumentale in zona Belvedere, ritrovata recentemente.

Fonte: Made in Taranto

UN PO’ DI STORIA DELL’ACQUEDOTTO DEL TRIGLIO

L’acquedotto del Triglio non è ricco di trame solo fisicamente, grazie alle sue gallerie, ma ha anche una storia molto ricca e complessa, che segue diversi filoni fino ai giorni nostri.

Prima di addentrarci nella storia propriamente detta, però, non possiamo dimenticare un mito ad esso legato. Si racconta, infatti, che Virgilio, in un periodo di forte siccità, costruì un acquedotto nel giro di una notte.

Le streghe, però, che avevano il controllo su Taranto (anche secondo il poeta), decisero di costruire un altro acquedotto, quello di Saturo, in competizione con Virgilio. Ma mentre questi completò tutta la sua opera, all’alba le streghe avevano portato a termine solo metà della loro opera e quindi lasciarono perdere (ed è forse per questo che l’acquedotto di Saturo non arriva fino alla città).

Costruito tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. in seguito alla fondazione della colonia neptunia dopo la vittoria di Annibale su Taranto, il suo scopo era fornire l’acqua alla periferia della città e non al suo centro, anche a causa della palude di San Brunone.

In seguito alla caduta dell’Impero Romano, dal 545 d.C. in poi l’acqua cominciò ad arrivare fino a Taranto per il bene della comunità grazie al re degli Ostrogoti Totila, ma fu successivamente abbandonato. Taranto si rifornì di acqua tramite la falda acquifera e l’acquedotto di Saturo.

Tuttavia, con l’aumento della popolazione, il fabbisogno di acqua aumentò e quindi, in epoca bizantina, alcune gallerie furono in parte restaurate. Nel 1334 la principessa di Taranto, Caterina di Valois, finanziò i lavori per l’acquedotto, mentre nel 1469 il figlio del re di Napoli, Federico d’Aragona, fece realizzare alcuni lavori di manutenzione, al fine di portare l’acqua fino all’attuale Piazza Fontana.

Nel 1543, nella zona della palude di San Brunone furono costruiti gli archi, che originariamente erano 202, di cui ne rimangono un centinaio, grazie all’ingegnere Marco Orlando e il patrocinio di Carlo V. All’epoca fu costruita anche Piazza Fontana, proprio come punto terminale dell’acquedotto.

A proposito di questa fontana, quella originaria fu demolita e ne fu costruita un’altra nel 1856, anch’essa demolita per essere sostituita nel 1893 e, infine nel 1992 da quella che conosciamo oggi. Inoltre, furono fatti alcuni lavori di edilizia pubblica più generale, anche per far fronte al sempre maggiore fabbisogno idrico di Taranto.

All’epoca della prima guerra mondiale, infine, l’Acquedotto del Triglio fu dismesso perché fu costruito l’acquedotto pugliese, ma alcune condotte furono rimesse in funzione nel 1943 a causa di alcuni bombardamenti che distrussero delle parti del nuovo impianto.

Negli anni Sessanta, l’antico acquedotto fu utilizzato per garantire l’acqua all’ILVA durante i primi giorni di attività.

Ancora una volta, la città di Taranto ci ricorda il nesso tra presente e passato, le nostre origini tra mito e storia, le cui testimonianze sono ancora sotto i nostri occhi.

Perché, mentre guardiamo il gigante siderurgico che si impone sulla strada accanto, non possiamo non voltarci dall’altro lato e osservare che, nel silenzio dei secoli, le arcate dell’Acquedotto del Triglio sorvegliano la città all’ombra di un passato glorioso.

Fonte: Made in Taranto